Dopo la giornata di festa e di gioia per la notizia precedente, ci arriva la comunicazione ufficiale di doverci sottoporre, un gruppo di noi, ad un secondo tampone. Ci sono stati alcuni altri positivi e potremmo essere venuti a contatto con loro nei giorni successivi. Quindi, è necessario ripetere i controlli.
Una sorta di nuovo stordimento mi prende, cosa faccio? Ancora una settimana di distanza imposta? No, so già di non riuscire. Cerco di limitare i contatti, non rinuncio al teatro prenotato, ma in macchina con la mascherina. Annullo gli appuntamenti in studio, in maniera precauzionale. Purtroppo, non riesco ad evitare una cena con gli amici, già programmata a casa nostra, poche ore dopo aver ricevuto la comunicazione.
Passano i giorni, però c’è qualcosa che non va. Percepisco che non è tutto come al solito. Sono in una bolla, respiro poco, respiri piccoli, giusto per lasciare entrare un po’ d’aria dentro, per cercare di sopravvivere alle giornate, nell’attesa che trascorrano le ore.
Nel frattempo, i pensieri sul futuro prossimo si affacciano, in modo apparentemente casuale, anche se so che sono sempre lì. Mi aspettano sulla porta, sull’uscio. Man mano che il tempo scorre e si avvicina l’orario della convocazione, l’ansia sta salendo, silenziosa si insinua e offusca la mente. Una sorta di ottundimento. Adesso mi sento davvero in balìa del destino. La distanza nel tempo mi ha dato la possibilità di galleggiare in questi giorni e di trascinarmi nel lavoro, cercando di mantenere quel minimo di efficienza. Ora posso solo chiudere gli occhi, resistere al fastidio fisico del tampone e poi trattenere il fiato fino alla risposta. Mi rimetto in pausa.