Tampone molto più fastidioso del primo, ma questo è stato un dato irrilevante. Fortunatamente non ero sola, la convocazione era comune di tutto il gruppo, abbiamo affrontato con ironia l’attesa snervante e le conseguenze fisiche (alcuni commenti esilaranti usciti: “almeno la catena igienica sarà rispettata!”, “ma che ci volevano arrivare alla corteccia occipitale?”, “potevano anche continuare a spingere, comunque non sarebbe uscito dall’altra parte!” Mi perdonerete, così fuori contesto sono poco comprensibili, ma i “tamponati” capiranno!)
La giornata trascorre nel silenzio, giusto le incombenze pratiche di lavoro mi tengono un po’ impegnata la mente. La mattina, i primi messaggi dei colleghi. Negativi. Trattengo il fiato. Non vorrei vedere, nel pomeriggio andrò al lavoro, lo controllerò da lì. Meglio di no, e se poi non devo andare? Lo controllo. Username, password, entro, il referto è lì. Veloce ragionamento. Se è uscito, se fosse stato positivo, mi avrebbero già chiamato. Apro il file. Non rilevato. Quindi, NEGATIVO!
Mi batte il cuore, mi lascio andare sulla sedia. Per adesso è finita! Riprendo le funzioni fisiologiche, battito, respiro, mi verso un bicchiere d’acqua. Avverto tutti i miei contatti della settimana. In risposta ottengo grandi cuori e parole di fiducia. Bene!
Ancora non so con chiarezza come proseguirò, certamente questa è un’esperienza che non avrei mai creduto di poter vivere in questo modo. Ha toccato delle corde profonde, di paura, di caducità del tempo e della vita. Per me stessa ma soprattutto per gli altri. La responsabilità verso gli altri, che non c’entrano niente ma che potresti aver involontariamente coinvolto. Essere stigmatizzato come “il contagiato”, e anche se lo si fosse contratto e superato, fino a quando si sarebbe restati “i contagiati”? Senza contare, le conseguenze fisiche? Sarebbe rimasta traccia nel corpo? Le conseguenze a lungo termine?
Tante domande ha lasciato questa situazione, per me, per questa volta, scampata. Sarà mio dovere, ma soprattutto lo dovrò a me stessa, lasciare aperta la porta del pensiero e dell’emotività per esplorare ed elaborare cosa mi ha lasciato dentro. E mai come oggi sono fermamente convinta che c’è bisogno di parlarne, di condividere, di esplorare e di chiedere supporto. Siamo portati a lasciare la sofferenza alle spalle, a mettere sotto il tappeto le esperienze “brutte”, “non è niente”, “l’importante che sia passato”, “adesso guardiamo avanti”. Non è possibile.
Questo è un punto di svolta, nelle vite di ognuno ci sarà un tempo pre– e un tempo post-lockdown/Covid/quarantena/isolamento domiciliare/tampone/…
Ciascuno ha vissuto e vive la situazione a suo modo, legittimo e corretto. Ma la “normalità” a cui tutti aneliamo non può essere la vita prima. Dovrà essere una elaborazione nuova, nel senso di far vivere ed esplorare cosa è successo dentro di noi, per creare un “nuovo” senso. Per diventare dei nuovi noi stessi.